La questione della cannabis light è sui giornali da quando la Cassazione Penale, a Sezioni Unite, ha emesso una sentenza.

Sentenza che afferma che la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti “derivati dalla coltivazione della cannabis”, come l’olio, le foglie, le inflorescenze e la resina.

Nelle ore immediatamente seguenti la pubblicazione, da parte dei media, dei contenuti della sentenza – più o meno manipolati, più o meno coscientemente – si è scatenata una reazione a catena basata sulla disinformazione che impera e prospera, soprattutto sui social media.

Il messaggio che è passato (e che è stato fatto passare, anche da una certa parte politica avversa ai cannabis shop) è che a seguito di detta sentenza tutti  i negozi che vendono cannabis light in Italia (circa ottocento) avrebbero dovuto abbassare la saracinesca, più o meno dall’oggi al domani.

La sentenza si riferisce – come ovvio – a una fattispecie penale riferibile a un singolo negozio di cannabis light che è stato sottoposto a un procedimento penale giunto fino in Cassazione.

Perché? Perché vendeva sostanze proibite.

Quindi la sentenza fa riferimento a una legge sulle droghe che dice che le sostanze dopanti sono proibite, mentre le sostanze non dopanti non sono proibite.

Cannabis light.

E la cannabis light? 

Nessuna legge parlava in Italia di infiorescenze e olii, derivati dalla canapa, che contengono effettivamente un quantitativo di thc superiore al consentito e sono dopanti. 

Ovviamente poiché c’era un vuoto legislativo qualcuno ne ha approfittato per commettere un illecito, ovvero vendere sostanze dopanti. 

La Cassazione ha deciso che, anche se la specifica legge sui negozi di cannabis light non lo dice, vendere sostanze dopanti è proibito perché c’è già un’altra legge, quella sulle sostanze dopanti, che dice che non si può venderle né usarle. 

Va da sé che le sentenze non sono applicabili urbi et orbi, ma unicamente al soggetto giudicato reo.

È come dire che se una sentenza della Cassazione condanna definitivamente un impiegato del catasto imputato per rapina, ciò non significa che andranno in prigione tutti gli impiegati del catasto.

Peraltro, come pochi articoli sul web hanno avuto la bontà dei precisare, nel caso in esame la Cassazione non ha nemmeno giudicato specificatamente sulla cosidetta cannabis light.

Posto che la cannabis light non è considerato una droga e rientra tra i prodotti ritenuti leciti ai sensi della legge 2 dicembre 2016 n. 242 in tema di disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale.

Legge che tra l’altro disciplina la coltivazione di tali prodotti ma non vieta (né autorizza) il loro commercio, con un vuoto normativo che, come detto, la libera iniziativa imprenditoriale ha immediatamente riempito.

Non è legge, ma può essere un precedente

La sentenza non è una fonte di legge, essendone invece la concreta applicazione a un caso reale, in relazione al quale è invece vincolante.

Tuttavia – a maggior ragione perché emessa dalle Sezioni Unite – essa può rappresentare un precedente giurisprudenziale a cui i giudici, trovandosi davanti alla medesima fattispecie decisa da quella sentenza sebbene in relazione ad altri distinti processi – tendenzialmente (ma non obbligatoriamente) si uniformeranno.

Fino alla prossima sentenza delle Sezioni Unite che, interpretando e applicando la legge,  può stabilire l’esatto contrario di quella commentata col presente articolo.