La scienza forense, grazie alla ricerca sul Dna, ha fatto passi da gigante.

Ricordo spesso i primi anni della mia carriera quando, circa 40 anni fa, ho avuto il privilegio di iniziare questo percorso affascinante che mi ha proiettato nella scienza forense.

Ci penso, con in mente le enormi possibilità di oggi e cerco di sforzarmi per ricercare tra i miei ricordi se, allora, avrei potuto mai immaginare ciò che la scienza e soprattutto la genetica, cioè il Dna, ci permette attualmente di fare a partire dalle tracce biologiche raccolte sulla scena di un crimine.

Ma non trovo nulla, nemmeno rivolgendomi ai sogni più fantasiosi di quel tempo: quello che è successo in questo arco temporale ha dell’incredibile. 

Le origini del Dna nella scienza forense

È il 1953 quando James Watson e Francis Crick proposero per la prima volta il modello di struttura a doppia elica del Dna.

Stabilirono, in quel modo, quello che diverrà il dogma centrale della biologia molecolare, le funzioni del Dna, il codice genetico, i geni e la sintesi delle proteine.

Gli studi di Watson e Crick erano un approfondimento, con la diffrattometria a raggi X, dei precedenti studi di Rosalind Franklin, una chimica-fisica inglese.

Watson e Crick, insieme a Maurice Wilkins, nel 1962, furono insigniti del premio Nobel per la medicina.

Ci son voluti, però, quasi 30 anni dalla clamorosa scoperta di Watson e Crick per far si che il Dna fosse usato anche a scopi investigativi.

Colin Pitchfork, Lynda Mann e Dawn Ashworth.

Il primo impiego nella scienza forense del Dna

Negli Ottanta sir Alec Jeffreys, un ricercatore inglese dell’Università di Leicester, per la prima volta al mondo, mise a punto un sistema di analisi del Dna da applicare a un caso criminale.

Jeffreys lo definì Dna Fingerprinting e lo utilizzò per risolvere il duplice omicidio di Lynda Mann e Dawn Ashworth.

Lynda e Dawn erano due adolescenti britanniche rapite e uccise a Narborough (Leicestershire) rispettivamente nel 1983 e nel 1986.

L’assassino si chiamava Colin Pitchfork, un ventiseienne decoratore di torte.

Sapendo dell’indagine, offrì 50 sterline per farsi sostituire da un collega in occasione del prelievo di sangue, così da sottrarsi momentaneamente all’identificazione.

Il primo screening genetico di massa

Ma fu scoperto lo stesso, grazie ai dubbi che aveva sollevato il suo comportamento e al primo screening genetico di massa, eseguito su 4582 uomini.

Venne arrestato dalla polizia il 19 settembre 1987 e condannato all’ergastolo in via definitiva nel gennaio del 1988.

Si apriva uno scenario che di lì a poco, avrebbe letteralmente sconvolto il panorama investigativo e la scienza forense.

Se da una parte la scoperta di Jeffreys era rivoluzionaria, dall’altra scontava un problema insuperabile che risiedeva nelle caratteristiche della traccia da esaminare.

Campioni degradati e limitati in quantità, quelli che comunemente ritroviamo nella scena di un crimine, non erano idonei per ottenere risposte con il sistema dell’inglese.

Grazie a Kary Banks Mullis, premio Nobel per la chimica nel 1993 e inventore della Reazione a Catena della Polimerasi – PCR – il problema della qualità/quantità iniziale di Dna a disposizione per le analisi, fu bypassato.

La PCR è una tecnica che consente di amplificare in provetta frammenti di Dna e quindi di risolvere i limiti del Dna Fingerprinting.

Ed è proprio grazie alla PCR che è stato possibile utilizzare l’analisi del Dna per il caso criminale forse più grave ed emblematico della nostra storia, la strage di Capaci.

La strage di Capaci.

La scienza forense e il Dna nella strage di Capaci

Era la prima volta che, insieme al dottor Spinella, biologo della polizia scientifica, venivano analizzate in Italia tracce di saliva ricavate da 51 mozziconi di sigaretta.

Erano stati fumati dal gruppo di mafiosi che aveva organizzato e diretto quell’attentato, fino alla devastante esplosione che tolse la vita ai magistrati e alla loro scorta.

Ricordo ancora con grande emozione i risultati ottenuti e quando, al termine delle nostre analisi, vista la grande amicizia e collaborazione che c’era tra Giovanni Falcone e gli USA, fummo invitati dai colleghi del FBI nei laboratori di Washington, per replicare gli esami e confermare gli esiti ottenuti.