Hikikomori è un termine giapponese che si traduce con isolamento, stare in disparte.

E l’isolamento volontario è quello che cercano adulti e ragazzi, soprattutto maschi, che prendono le distanze dal mondo esterno e comunicano via Internet con altre persone sole.

Crime Magazine ha incontrato chi, questi ragazzi, li conosce. E prova a farli uscire di nuovo.

Hikikomori: in fuga dalla società

Se ne stanno, rigorosamente soli, chiusi nella loro camera.

Escono per andare in bagno, ma non per mangiare, men che meno per vedere gli amici, avendo smesso anche di andare a scuola.

Tra quelle quattro mura, il giorno viene invertito con la notte e gli stati di veglia sono consumati al computer.

E il computer è l’unico contatto con il mondo esterno, dove hanno trovato amici virtuali che, come loro, amano i manga, gli anime [cartoni animati giapponesi, N.d.R.] e i giochi elettronici.

Mentre i genitori, chiusi fuori, lasciano il cibo in un vassoio davanti alla porta e pregano per un ritorno alla normalità.

È in questo modo che vivono gli adolescenti e i giovani adulti giapponesi colpiti da hikikomori, in italiano isolamento volontario.

Una clausura che dura mesi, talvolta anni. Sembra impossibile che possa accadere.

Hikikomori, un fenomeno in crescita

Eppure, l’hikikomori è molto diffuso nel Paese del Sol Levante già dagli anni Novanta, riconosciuto e studiato per la prima volta dallo psicoterapeuta Saito Tamaki al quale si deve la definizione.

Il termine, oltre al fenomeno, serve anche per denominare le persone che hanno sviluppato l’hikikomori.

I dati ufficiali dicono che oggi sono 541mila i casi accertati, ma c’è chi sostiene che siano quasi il doppio, cioè l’1% della popolazione nipponica.

Sia chiaro, non sono ragazzi impazziti né ammalati di una sindrome strana, e neppure semplici svogliati, esageratamente “sdraiati”, come qualcuno ha definito la generazione di nativi digitali che sta crescendo.

Intelligenti, capaci e soli

Piuttosto, sono i figli di una società difficile e complicata: giovani maschi tra i 15 e i 29 anni, spesso unica prole della famiglia, molto intelligenti e sensibili, di ceto medio-alto borghese, con genitori laureati.

A spingerli all’isolamento radicale la forte competizione scolastica e le stringenti pressioni sociali verso l’omologazione.

Oltre a madri troppo presenti e padri troppo assenti, genitori che su quel figlio unico investono tutto.

Un sistema sociale che ha profonde radici nel passato ma che nel presente, con l’arricchimento e lo sviluppo frenetico dettato dal capitalismo, è divenuto ancora più esigente.

Maschi, dicevamo, nella quasi totalità dei casi accertati, ma gli studiosi ritengono che le hikikomori potrebbero essere superiori se si svecchiasse l’immagine sociale della donna in Giappone. 

Hikikomori in Italia

Intanto, siamo qui a parlarne anche noi perché l’hikikomori ha sconfinato e da circa un lustro si è manifestato anche in Occidente, Stati Uniti ed Europa.

Anzi, secondo stime non ufficiali, i Paesi più colpiti sarebbero Spagna e Italia.

Sempre nell’incertezza, qui da noi gli hikikomori oscillerebbero tra le cinque e le diecimila persone, anche se con ogni probabilità i numeri sono sottostimati (c’è chi azzarda arrivino a centomila!).

Sicuramente sono in crescita costante dal 2012, forse perché se ne parla sempre di più e i genitori riconoscono di averne in casa uno.

Fresca la notizia di un 19enne di Torino che, dopo una lite con la madre, disperata per la sua condizione di isolamento davanti al computer, si è gettato dalla finestra.

Giappone – Italia: quali analogie?

Saito Tamaki ha adocchiato un’analogia tra le mamme troppo presenti giapponesi e le nostre che tendono a crescere “mammoni” in difficoltà ad affrontare il mondo.

Analogia importante anche secondo Valentina Di Liberto, sociologa e presidente di Cooperativa Sociale Onlus Hikikomori attiva a livello nazionale con il Centro Hikikomori.

La dottoressa Di Liberto tratteggia un identikit nostrano: sono ragazzini molto intelligenti a livello cognitivo ed estremamente sensibili ma con fragilità di personalità.

Fragilità acuita da genitori che hanno grandi aspettative. Per questo i figli sono cresciuti sotto campane di vetro da mamme iperprotettive.

Sono ineducati alla sperimentazione esterna.

Incapaci di confrontarsi con il gruppo dei pari spesso sono facilmente sono bullizzati.

Si tratta di ragazzi incapaci di affrontare una società sempre più competitiva e ansiogena (anche per chi è adulto e vaccinato, ci viene da aggiungere).

Il periodo per essere definiti hikikomori prevede un’autoreclusione di almeno sei mesi.

Gli hikikomori italiani non sempre sono figli unici, non si barricano totalmente in camera, ne escono ma senza comunicare col resto dei familiari.

Le ragazze sono in aumento in modo inaspettato, le famiglie di appartenenza non sono necessariamente di livello medio-alto e capita che ci sia un trauma scatenante, come ad esempio la separazione dei genitori.

Di fatto, è un “crollo” che avviene molto lentamente, addirittura in anni.

Uno studio: i tre stadi dell’hikikomori

Ha cercato di darne l’idea Marco Crepaldi, laurea in psicologia sociale con tesi proprio sull’hikikomori, che ha ipotizzato tre stadi evolutivi di questo fenomeno.

Nel primo stadio si hanno già i comportamenti tipici: rifiuto scolastico, progressivo abbandono di attività all’esterno della casa, graduale inversione sonno-veglia, preferenza per attività solitarie col supporto della tecnologia).

Ma il ragazzo o la ragazza, pur cominciando a riconoscere la pulsione all’isolamento sociale, non ne è ancora conscio e prova a contrastarla.

L’elaborazione razionale avviene nel secondo stadio.

Questa fase porta con sé l’identificazione di alcune relazioni o situazioni sociali che creano il malessere e spingono ad avere contatti solo virtuali col mondo esterno, lasciato decisamente fuori dalla stanza.

Col terzo stadio, l’abbandono alla pulsione all’isolamento è totale, arrivando a un progressivo allontanamento anche dai genitori.

Stando a studi ed esperienza, Crepaldi precisa che il passaggio da uno stadio all’altro non avviene bruscamente, piuttosto è un continuum fluttuante, con alcuni momenti di regressione e altri di accelerata in avanti.

Quale soluzione?

Come riportare l’hikikomori a una vita fuori dalla sua stanza? Niente farmaci.

Ci vuole un percorso di psicoterapia e i tempi non sono quantificabili, ogni persona è un caso a sé. Qui trovate alcuni consigli ai genitori.

Secondo Crepaldi, molto dipende dallo stadio a cui si inizia: ovvero quando i genitori capiscono che il loro amato figlio ha un disagio e che quel disagio ha un nome.

Per questo Crepaldi ha creato nel 2013 Hikikomori Italia, all’inizio solo un blog con lo scopo di sensibilizzare e informare gli italiani, compresi gli addetti ai lavori quasi del tutto impreparati.

In breve è divenuto una community, la prima italiana sull’argomento, che mette a disposizione una chat dedicata esclusivamente ai ragazzi hikikomori.

C’è anche una pagina Facebook per tutti gli interessati, un gruppo Facebook riservato ai genitori, che si sono organizzati in comunità di mutuo-aiuto costituendosi in associazione.